Furono proprio i fratelli Wright a volare per la prima volta con
un velivolo propulso a motore?
La risposta, che meraviglierà molti, è "No". Del
resto i Wright non reclamarono mai di essere stati i primi a volare.
Ad esempio, nel 1894, tre uomini
si levarono in volo non intenzionalmente con un biplano propulso da un
motore a vapore. Le conseguenze furono disastrose: a causa della mancanza
di controlli la macchina si distrusse, ma fortunatamente l'equipaggio
si salvò. Il velivolo era stato ideato dall'inglese Hiram Maxim,
ricordato da Wilbur Wright nelle sua primissima documentazione scientifica
presentata alla Western Society of Engineers nel 1901. Il francese Clement
Ader fece volare nel 1890 l'Eole un velivolo senza equipaggio
che assomigliava ad un pipistrello, senza timoni di direzione e profondità,
propulso da un motore di 20 cavalli per circa 50 metri a 20 centimetri
dal suolo. Il successivo Avion III, del 1897, non si staccò
mai veramente da terra, anche se una o due delle sue ruote possono averlo
fatto durante le prove. Per non parlare poi dei velivoli propulsi a motore,
senza equipaggio, ideati e costruiti da molti altri pionieri, come l'americano
Langley o l'ingegnere italiano Enrico Forlanini che, il 29 giugno 1877
di fronte alla Scala di Milano, fece sollevare di 13 metri dal suolo un
modello d'elicottero propulso da un motore a vapore, con un volo durato
20 secondi.
Wilbur
e Orville Wright desideravano invece essere ricordati per aver fatto il
primo volo, propulso a motore, in cui l'apparecchio era stato pilotato
e la cui permanenza in aria era stata significativa.
I loro maggiori contributi all'aviazione furono lo sviluppo dei controlli
aerodinamici sui tre assi (rollio, beccheggio ed imbardata) e quello delle
tecniche di pilotaggio necessarie per usarli in modo efficace.
Furono proprio questi contributi, elaborati e sperimentati nell'arco di
diversi anni, che segnarono l'inizio della moderna aviazione, così
come la conosciamo oggi, non il loro volo iniziale del 17 dicembre 1903.
In
meno di cinque anni i Wright svilupparono un aeroplano veramente "pratico",
capace di trasportare due persone era il 1908 e di rimanere
in aria finché durava il carburante. Nel luglio di quell'anno Wilbur
arrivò in Francia e l'8 agosto iniziò a volare a Le Mans:
fin dal 1902 le notizie sui loro successi con gli alianti avevano colpito
gli scienziati di entrambe le sponde dell'Atlantico, e in particolar modo
i Francesi. Orville, rimasto negli Stati Uniti, il 9 settembre superò
l'ora di volo richiesta dalle specifiche del contratto con l'Esercito
americano; nemmeno due settimane più tardi ebbe un grave incidente,
da cui uscì seriamente ferito mentre il suo passeggero morì.
Il 1° aprile 1909 Wilbur arrivò
a Roma e in un prato di Centocelle iniziò le sue lezioni di pilotaggio
al sottotenente di vascello Mario
Calderara ed al tenente del Genio Umberto Savoia. L'Italia fu la seconda
nazione europea ad ospitare i Wright.
Così Calderara narrò le sue impressioni di allievo pilota
in un articolo apparso sul Corriere della Sera del 22 aprile 1909: «Adesso
non è più come nel primo volo. Non si ha più il tempo,
né la voglia di osservare il magnifico panorama della campagna
romana: ora devo manovrare una delle due leve e vi assicuro che non è
una fatica da poco. Non avendo ancora acquistata la conoscenza esatta,
o meglio l'istinto di dare un certo grado di spostamento alla leva per
ottenere una data inclinazione dei piani, sto sempre coll'animo trepidante,
nel timore, non tanto di cadere, quanto di rovinare l'apparecchio. E sapendo
il desiderio di Wright di ritornare presto in America, mi dispiacerebbe
fargli perdere delle giornate in riparazioni. Malgrado questa grande tensione
di spirito, che stanca moltissimo, io non scenderei mai. Wright però
non affatica soverchiamente i suoi allievi e fa eseguire loro dei piccoli
voli ogni volta. Crede lei che i risultati meravigliosi dell'apparecchio di Wright si
ottengano per la grande virtuosità dell'inventore? Trova ella facile
la manovra?
In realtà Wright, come aviatore, è meraviglioso per le sue
qualità, che lo rendono quasi dotato di un sesto senso: quello
dell'equilibrio aereo: ogni piccola variazione d'aria è da lui
subito avvertita e corretta con opportune modificazioni dell'apparecchio.
La mia prima impressione appena cominciai a montare con Wright, fu che
non sarei mai riuscito a guidare: però, ragionando, mi rendevo
conto che era una falsa prevenzione, di quelle che assalgono tutti i principianti.
Ora, infatti, la manovra mi riesce più agevole e mi vado convincendo
che se non riuscirò ad eguagliare la bravura di Wright, il quale
rappresenta il campione degli aviatori, pure potrò tenermi nell'aria
da solo e con sicurezza, manovrando con padronanza l'apparecchio.»
Nel giro di pochi anni gli aviatori
volarono con successo in ogni parte del mondo e i tecnici svilupparono
con proprie idee le soluzioni iniziali dei Wright. All'inizio della Prima
Guerra Mondiale gli aerei avevano solo una lontana somiglianza con quello
iniziale dei Wright, ma i due fratelli avevano già praticamente
smesso di costruire aeroplani (Wilbur era morto il 5 maggio 1912), ormai
superati tecnicamente dalla concorrenza. Quello che è importante
notare è che tutti usavano delle varianti del sistema di controllo
dei Wright e che i piloti usavano le tecniche di pilotaggio che i Wright
avevano sviluppato. E lo stesso rimane vero anche oggi, sia col piccolo
aereo da turismo sia col grande jet di linea che ci porta in ogni parte
del mondo.